Giovedì
20 Aprile
Convalescenza
Chi m'avrebbe detto quando tornavo così allegro da quella bella gita con mio padre che per dieci giorni non avrei più visto né campagna né cielo! Son stato molto malato, in pericolo di vita. Ho sentito mia madre singhiozzare, ho visto mio padre pallido pallido, che mi guardava fisso, e mia sorella Silvia e mio fratello che discorrevano a bassa voce, e il medico, con gli occhiali, che era ogni momento lì, e mi diceva delle cose che non capivo. Proprio, son stato a un punto dal dare un addio a tutti. Ah povera mia madre! Son passati almeno tre o quattro giorni di cui non mi ricordo quasi nulla, come se avessi fatto un sogno imbrogliato e oscuro. Mi sembra d'aver visto accanto al mio letto la mia buona maestra di prima superiore che si sforzava di soffocar la tosse col fazzoletto, per non disturbarmi; ricordo così in confuso il mio maestro che si chinò a baciarmi e mi punse un poco il viso con la barba; e ho visto passare come in una nebbia la testa rossa di Crossi, i riccioli biondi di Derossi, il calabrese vestito di nero, e Garrone che mi portò un mandarino con le foglie e scappò subito perché sua madre stava male. Poi mi destai come da un sonno lunghissimo, e capii che stavo meglio vedendo mio padre e mia madre che sorridevano, e sentendo Silvia che canterellava. Oh che triste sogno è stato! Poi ho cominciato a migliorare ogni giorno. È venuto il "muratorino" che m'ha rifatto ridere per la prima volta col suo muso lepre; e come lo fa bene ora che gli s'è allungato un po' il viso per la malattia, poveretto! È venuto Coretti, è venuto Garoffi a regalarmi due biglietti della sua nuova lotteria per "un temperino a cinque sorprese" che comprò da un rigattiere di via Bertola. Ieri poi, mentre dormivo, è venuto Precossi, e ha messo la guancia sopra la mia mano, senza svegliarmi, e come veniva dall'officina di suo padre col viso impolverato di carbone, mi lasciò l'impronta nera sulla manica, che mi ha fatto un gran piacere a vederla, quando mi sono svegliato. Come son diventati verdi gli alberi in questi pochi giorni! E che invidia mi fanno i ragazzi che vedo correre alla scuola coi loro libri, quando mio padre mi porta alla finestra! Ma fra poco ci tornerò io pure. Sono tanto impaziente di rivedere tutti quei ragazzi, il mio banco, il giardino, quelle strade; di sapere tutto quello che è accaduto in questo tempo; di rimettermi ai miei libri e ai miei quaderni, che mi pare un anno che non li vedo più! Povera mia madre, com'è
dimagrita e impallidita. Povero padre mio, come ha l'aria stanca. E i miei buoni compagni, che son venuti a trovarmi e camminavano in punta di piedi e mi baciavano in fronte! Mi fa tristezza ora a pensare che un giorno ci separeremo. Con Derossi, con qualche altro, continueremo a far gli studi insieme, forse; ma tutti gli altri? Una volta finita la quarta, addio; non ci vedremo più; non li vedrò più accanto al mio letto quando sarò malato; Garrone, Precossi, Coretti, tanti bravi ragazzi, tanti buoni e cari compagni, mai più!
Gli amici operai
Perché, Enrico, mai più? Questo
dipenderà da te. Finita la quarta, tu andrai al Ginnasio ed essi faranno gli
operai, ma rimarrete nella stessa città, forse per molti anni. E perché,
allora, non v'avrete più a rivedere? Quando tu sarai all'Università o al
Liceo, li andrai a cercare nelle loro botteghe o nelle loro officine, e ti sarà
un grande piacere il ritrovare i tuoi compagni d'infanzia, - uomini, - al
lavoro. Vorrei vedere che tu non andassi a cercar Coretti e Precossi; dovunque
fossero. Tu ci andrai, e passerai delle ore in loro compagnia, e vedrai,
studiando la vita e il mondo, quante cose potrai imparare da loro, che nessun
altri ti saprà insegnare, e sulle loro arti e sulla loro società e sul tuo
paese. E bada che se non conserverai queste amicizie, sarà ben difficile che tu
ne acquisti altre simili in avvenire, delle amicizie, voglio dire, fuori della
classe a cui appartieni; e così vivrai in una classe sola, e l'uomo che pratica
una sola classe sociale, è come lo studioso che non legge altro che un libro.
Proponiti quindi fin d'ora di conservarti quei buoni amici anche dopo che sarete
divisi; e coltivali fin d'ora di preferenza, appunto perché son figliuoli
d'operai. Vedi: gli uomini delle classi superiori sono gli ufficiali, e gli
operai sono i soldati del lavoro, ma così nella società come nell'esercito,
non solo il soldato non è men nobile dell'ufficiale, perché la nobiltà sta
nel lavoro e non nel guadagno, nel valore e non nel grado, ma se c'è una
superiorità di merito è dalla parte del soldato, dell'operaio, i quali ricavan
dall'opera propria minor profitto. Ama dunque, rispetta sopra tutti, fra i tuoi
compagni, i figliuoli dei soldati del lavoro; onora in essi le fatiche e i
sacrifici dei loro parenti; disprezza le differenze di fortuna e di classe,
sulle quali i vili soltanto regolano i sentimenti e la cortesia; pensa che uscì
quasi tutto dalle vene dei lavoratori delle officine e dei campi il sangue
benedetto che ci ha redento la patria, ama Garrone, ama Precossi, ama Coretti,
ama il tuo "muratorino" che nei loro petti di piccoli operai chiudono
dei cuori di principi, e giura a te medesimo che nessun cangiamento di fortuna
potrà mai strappare queste sante amicizie infantili dall'anima tua. Giura che
se fra quarant'anni; passando in una stazione di strada ferrata, riconoscerai
nei panni d'un macchinista il tuo vecchio Garrone col viso nero... ah, non
m'occorre che tu lo giuri: son sicuro che salterai sulla macchina e che gli
getterai le braccia al collo, fossi anche Senatore del Regno.
TUO PADRE
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